Mi chiedete spesso come realizzo gli allestimenti floreali dei matrimoni che seguo. Per soddisfare la vostra curiosità ho fatto una chiacchierata con Andrea Patrizi, il flower designer con cui più spesso collaboro. A lui infatti passo il progetto studiato con i clienti, sue sono le (abilissime) mani che realizzano la gran parte degli allestimenti immaginati da me per gli sposi. È lui a raccontarci come ha iniziato e su cosa ha puntato per distinguersi e fare il suo lavoro con i risultati che vedete.

 

 

“Ho iniziato a lavorare come fashion designer. Solo dopo mi sono appassionato alla natura (una passione di famiglia, visto che i miei avevano delle aziende di produzione e commercializzazione di piante). Poi una volta andai a vedere una mostra di floral design internazionale che si svolse qui a Roma e incontrai Peter Hees di Atelier 5 (Basilea). Cominciai a studiare con lui e solo dopo ho iniziato a lavorare nel campo, facendo anche lavori importanti per personaggi vip, cosa che mi ha dato molta visibilità. Parliamo di 25 anni fa, quando ancora a sapere cosa fosse il floral design erano in pochi (e ancora oggi le cose non sono molto cambiate, perché molti fanno un uso sconsiderato del termine).

 

Il floral designer non si occupa solo di botanica, ma fa lavorare insieme tutti gli elementi complementari: la carta, il legno, il ferro, si intende di luci e di design, sa come si fa una candela, come si realizza una struttura, come nasce la ceramica. Insomma, una preparazione a 360 gradi. È una bellissima professione, ma richiede delle competenze che solo una scuola dà. Bisogna conoscere gli stili pittorici, le chiese: per noi italiani dovrebbe essere obbligatorio! Dal Cinquecento, dal Rinascimento fiorentino, da qui viene l’arte topiaria e l’arte floreale! Insomma, è cultura, una cultura che occorre avere.

 

Il bello si educa, non bisogna cercare solo l’effetto che fa piacere all’occhio. Il bello è soggettivo, mentre l’armonia la leggono tutti. Entrare in una chiesa romanica (per esempio San Giorgio in Velabro), rinascimentale, barocca (Santa Pressede, di impianto romanico-lombardo che poi, dopo vari rimaneggiamenti, negli anni è diventata barocca) significa entrare in un contesto. Che va rispettato nel momento dell’allestimento. L’abbinamento dei fiori con la chiesa è quindi fondamentale. Il che significa che magari in una chiesa romanica andiamo ad intervenire con una composizione di muschio e candele, anziché che con delle orchidee, che all’epoca della costruzione di questi luoghi di culto non erano ancora giunte qui (perché le Americhe non erano state scoperte). Bisogna sempre avere un’idea ben precisa del luogo che ospiterà l’evento. Per esempio, per un recente allestimento a Panarea, ci siamo ispirati alle maioliche siciliane (usando gli azzurri e i cobalti, con un occhio strizzato all’estetica araba).

 

Altra cosa fondamentale per costruire un progetto è conoscere il carattere dei clienti (anche avere un’idea del budget è necessario). È importante poi considerare i tempi di allestimento: non si possono fare voli pindarici se abbiamo poche ore per allestire. Decidere poi se usare più o meno colori: anche qui ci sono varie scuole di pensiero. Il bianco come colore tradizionale per i matrimoni nasce nell’era vittoriana. La regina Vittoria è la prima nobildonna a vestire di bianco. Poi grazie alla neonata fotografia si divulgò questa moda della sposa in bianco. Prima di allora le nobildonne si presentavano all’altare con qualsiasi colore (a parte il rosso, tradizionalmente riservato alle prostitute). Il bianco poi nella religione cattolica rappresenta il sacramento (battesimo, prima comunione).

 

Non ci sono tendenze da seguire: la moda la detta il momento storico. Ora abbiamo una tecnologia che consente di costruire effetti che qualche tempo fa non avremmo potuto realizzare, ma non seguo alcuna tendenza. Anzi, nel mio lavoro rispettare e imitare la natura sarebbe il massimo, non c’è altra cosa più perfetta. Altrimenti si rischia di perdere l’autenticità e di prediligere gli effetti, per il solo scopo di stupire: ma prima bisogna essere e poi apparire, soprattutto al proprio matrimonio.

 

Che per i miei clienti realizzi cose fatte di niente, con pochissimo materiale, ma di grande effetto, oppure cose fatte di tanto, in comune c’è un modo che è uno stile e una cifra riconoscibile. Un approccio che privilegia soprattutto l’armonia (un mix di cultura e di creatività). Ho portato in questo lavoro anche alcune innovazioni, che poi sono state copiate (il che mi fa molto piacere, perché vuol dire che hai trasmesso qualcosa). Per esempio l’uso degli specchi (come faceva il Bernini) sfruttati per far sparire le strutture con un effetto ottico. E delle boule di vetro (erano le pesciere, che mi facevo realizzare da una fabbrica che faceva acquari) che oggi sono utilizzate copiosamente, mentre all’inizio mi hanno fatto guadagnare anche qualche perplessità degli osservatori. Piccole cose che però fanno delle grandi rivoluzioni, come vuole il design. Il cui scopo è portare cose belle e fatte bene a tutti. L’unione di utile e bello porta al vero, che ha delle sempre basi concrete. Poi l’effetto viene dopo e di conseguenza.”

 

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